Giustizia | UPP, Confintesa FP: “I lavoratori PNRR non sono scarti di bilancio”
Le recenti dichiarazioni diffuse in merito alla cosiddetta “stabilizzazione” del personale assunto con fondi PNRR (guarda qui il video estratto da “Il futuro degli uffici per il processo | Quattro tavole rotonde per una prospettiva”, venerdì 9 maggio 2025, Torino) lasciano esterrefatti. Invece di trasformarsi in un’occasione per restituire dignità, sicurezza e continuità lavorativa a migliaia di persone che in questi anni hanno sostenuto gli uffici giudiziari e amministrativi italiani, si continua a parlare in termini riduttivi, tecnicistici, persino liquidatori.
Tra le frasi più gravi pronunciate — «non sarà un concorso a crocette come quello che vi ha selezionati in condizioni di estrema emergenza» — si coglie l’essenza di un atteggiamento che Confintesa FP respinge con forza: quello di squalificare una platea di lavoratori onesti, qualificati e selezionati tramite procedure pubbliche conformi alla normativa vigente.
Vale la pena ricordare che oggi la quasi totalità dei concorsi pubblici, anche per posizioni dirigenziali, prevede prove a risposta multipla. È un modello adottato per garantire trasparenza, oggettività e rapidità nelle selezioni. È vero, un tempo la prova scritta a tema offriva forse una misurazione più articolata della preparazione, ma quel modello è stato superato a livello sistemico. Sminuire i quiz, oggi, significa sminuire di fatto la quasi totalità dei concorsi della pubblica amministrazione italiana.
Parlare poi di “procedura sui generis” e non di vera stabilizzazione, come se la legge potesse essere reinterpretata a piacimento, significa minare il principio stesso di affidabilità dello Stato verso chi ha scelto di servirlo.
Altrettanto inaccettabile è il concetto di downsizing applicato a un settore già cronicamente sotto organico. Ridurre da 12.000 a 6.000 unità operative e pretendere di garantire gli stessi servizi alla cittadinanza è un’illusione pericolosa. Dietro quelle 6.000 “in esubero”, trattate come semplici numeri in un bilancio, ci sono persone con storie, famiglie, sacrifici. Persone che hanno lasciato case, stabilità e spesso altri impieghi per rispondere alla chiamata di un progetto pubblico di rilancio nazionale.
Questo approccio dimostra ancora una volta — e Confintesa FP lo denuncia da anni — la totale assenza di una visione politica. È vero che le risorse formali dipendono dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma chi davvero orienta quelle scelte? Chi ha il potere di trasformare la stabilizzazione in un obiettivo strategico nazionale? La risposta è evidente: la politica. Ed è proprio la politica il grande assente di questa vicenda.
Significativa, poi, l’affermazione secondo cui i 6.000 esclusi “potranno forse entrare in altre amministrazioni, dove ci sono vantaggi economici assenti nel Ministero della Giustizia”. Una frase che tradisce una scarsa considerazione per chi, in questi anni, ha scelto di restare non per convenienza economica — che spesso non c’era — ma per senso del dovere, per passione, per spirito di servizio.
Chi lavora nel Ministero della Giustizia — e non solo — lo fa fronteggiando stipendi tra i più bassi della pubblica amministrazione, carichi di lavoro pesantissimi e risorse logistiche spesso carenti. Se la scelta fosse stata solo economica, molti avrebbero già abbandonato.
Confintesa FP ribadisce con fermezza che questi lavoratori non possono essere considerati un costo da tagliare o numeri da ottimizzare. Sono coloro che hanno garantito la tenuta di un sistema che rischiava il collasso: dalle cancellerie ai servizi di supporto ai magistrati, dagli uffici amministrativi alle segreterie giudiziarie. Hanno contribuito a smaltire l’arretrato, a informatizzare gli uffici, a mantenere viva la macchina della giustizia e della pubblica amministrazione.
E ora, dopo aver retto l’intero impianto, si trovano appesi a una “valutazione comparativa” ancora nebulosa, senza alcuna certezza per il futuro.
Lo Stato non può permettersi di umiliare chi ha servito con competenza, dedizione e coraggio. Non può trasformare una promessa in un’illusione. La credibilità delle istituzioni si misura anche nel rispetto che sanno garantire a chi ha lavorato per l’interesse pubblico.